Il contratto a tempo determinato dopo il Jobs Act

29.04.16 - Il Decreto Legislativo 15 giugno 2015 n. 81 disciplina il contratto a tempo determinato (detto anche “a termine”). Tale decreto ha di fatto accorpato in un unico testo gli istituti contrattuali della vigente normativa, abrogando di conseguenza le precedenti normative che regolavano tale istituto.

Nonostante il Legislatore, nell’ambito del nuovo “Codice dei contratti”, intenda far divenire il contratto a tempo indeterminato “la forma comune del rapporto di lavoro”, il contratto a termine rappresenta sicuramente una tipologia contrattuale che risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato.

Questa caratteristica ha fatto sì che nel corso dell’evoluzione normativa del contratto a termine diversi Governi abbiano di fatto maggiormente liberalizzato tale istituto.

Uno dei motivi che possono portare il datore di lavoro a scegliere un contratto a termine è la possibilità di omettere la causale, ovvero le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, entro un periodo massimo di 36 mesi (durata massima dei contratti a termine).

Viceversa, un elemento che potrebbe frenarne l’adozione è il contributo addizionale a carico del solo datore di lavoro, introdotto a partire dal 1° gennaio 2013, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, che si va ad aggiungere alla contribuzione ordinaria prevista per la generalità dei lavoratori.

Tuttavia, qualora il datore di lavoro trasformi i rapporti a termine in contratto a tempo indeterminato, con riferimento all’art.2 co.30 della Legge 28 giugno 2012 n.92, potrà recuperare l’intera contribuzione aggiuntiva.